Un nuovo appuntamento musicale proposto dalle Giornate di Cinema e Cultura Omosessuale di Padova e dal CSC di S. Vito di Leguzzano: The Tiptons, il quartetto di saxofoniste che rende omaggio ad una singolare figura del jazz, Dorothy Lucille Tipton, in arte Billy Tipton, che negli anni '30 si finse uomo per accedere al mondo della musica.
THE TIPTONS
Le Tiptons vengono da Seattle e sono un quartetto di sax con percussioni, formato esclusivamente da donne. Il gruppo vanta la presenza di Amy Denio e Jessica Lurie, ex componenti del Billy Tipton Memorial Saxophone Quartet (BTMSQ), rinomato a livello internazionale. Oltre alla Denio e alla Lurie, ben conosciute negli ambienti della musica creativa, ci sono anche Tina Richerson al sax tenore e Tobi Stone al baritono. Il loro nome è un omaggio alla sassofonista e pianista Dorothy Lucile Tipton, alias Billy Tipton, che per farsi largo nel mondo maschile del jazz fu costretta a mutare il proprio nome e a travestirsi da uomo.
Le Tiptons agiscono invece allo scoperto e sono autrici di un mix sonoro che attinge al jazz di New Orleans e a quello avanguardistico, così come alla musica klezmer e persino all’hip hop, per un excursus tra i generi e le culture, tra tradizione e sperimentazione. Con influenze che vanno dal punk alla musica dell´est Europa, passando per lo stile "jump" di New Orleans, le Tiptons presentano una delle sonorità più selvagge mai realizzate da un quartetto di sax. I loro indimenticabili e ironici concerti sono caratterizzati da una forte interazione tra i membri del gruppo e da un repertorio che tocca generi di tutto il mondo. Nel marzo del 2003 le Tiptons hanno prodotto un EP di cinque brani seguito da una tournée nel Nord America, mentre l’anno successivo esce il disco "Tsunami", pubblicato da un’etichetta fondata da loro stesse. Ma è proprio nella dimensione del concerto che l’energia delle musiciste si può scatenare in tutta la sua contagiosa intensità, come testimoniano le tante tournée in America e Europa.
È dalla metà degli anni Settanta che la formazione del quartetto di sassofoni ha trovato una collocazione creativa nel vasto ambito del jazz contemporaneo, con formazioni di grandissimo livello come il World Saxophone Quartet o i californiani Rova a esplorare il versante più sperimentale e formazioni come il 29th Street Saxophone Quartet in ambiti più tradizionali. Anche in Italia ci sono ottime formazioni di soli sassofoni, come i raffinatissimi Arando Donax. La particolarità delle Tiptons sta nella continua sorpresa: oltre ai sassofoni e le percussioni, il lato femminile che non significa solo delicatezza e che svela invece una incredibile energia, il repertorio sempre vario, che spazia da brani originali a brucianti riletture del geniale Raymond Scott.
CHI ERA BILLY TIPTON?
Oggi vorrei parlarvi di un musicista che probabilmente non avete mai sentito nominare, che non aveva un particolare talento, non ha fatto dischi memorabili ed è diventato famoso, dopo morto, per motivi che c’entrano poco o niente con la musica. Si chiamava Billy Tipton, era un pianista e sassofonista, era nato nel 1914 e morì nel 1989 per un’emorragia causata da un’ulcera non curata. Quel che si scoprì dopo la morte, e che Billy era riuscito a tenere segreto per quasi cinquant’anni, è che non si trattava di un uomo, ma di una donna. Nata, per la precisione, Dorothy Lucille Tipton, e vissuta en travesti per buona parte della sua esistenza. Il jazz, si sa, è un ambiente maschile (“le donne odiavano il jazz / non si capisce il motivo”, cantava Paolo Conte). Le donne sono perlopiù cantanti, o pianiste, o entrambe le cose. E c’è un perché: il canto, in tutte le società, è attività eminentemente femminile, e il pianoforte è, fin dall’Ottocento, strumento anche femminile, studiato dalle signorine di buona famiglia. A dire il vero, ci sono sempre state musiciste jazz che suonavano altri strumenti, ci furono persino orchestre all-female, che però venivano relegate al ruolo di curiosità e in genere suonavano nei circuiti più periferici (negli ultimi due o tre decenni, vari studi di orientamento femminista hanno cercato di riscoprire e rivalutare questa produzione). Oggi ci sono in circolazione moltissime ottime musiciste che suonano il sax o il contrabbasso o la batteria, ma a una donna può ancora capitare di sentirsi dire, quale massimo complimento, “suoni come un uomo”. Sta di fatto che, nel “canone” jazzistico, nessuna sassofonista ha mai raggiunto lo status di Charlie Parker o di John Coltrane, e nessuna trombettista quello di Louis Armstrong o di Miles Davis. Non solo il jazz è maschile, ma come molte altre musiche afroamericane ha anche una certa dose di esibizionismo machista, ragion per cui nella sua storia il tema dell’omosessualità ha sempre conosciuto una vita sotterranea, marginale, sottaciuta. Ad esempio si è speculato a lungo sulla bisessualità di Lester Young o di Sun Ra. Bessie Smith aveva una vita bisessuale piuttosto esplicita, così come altre cantanti di blues (Alberta Hunter, Ma Rainey, Ethel Waters), e lo stesso si è detto, con prove più o meno fondate, di Billie Holiday e di Carmen McRae. Che io sappia, fino agli anni Cinquanta l’unico a vivere apertamente la propria omosessualità fu Billy Strayhorn, il pianista e arrangiatore che per decenni fu l’alter ego musicale di Duke Ellington. Oggi hanno fatto outing musicisti come Cecil Taylor, Fred Hersch, Gary Burton, Patricia Barber, Andy Bey. Ma ai tempi in cui Billy Tipton cominciò ad interessarsi al jazz, nell’America degli anni Trenta e Quaranta, una donna lesbica, anzi transgender per la precisione, sarebbe stata sottoposta al più duro degli ostracismi. E una donna e basta avrebbe potuto nemmeno lavorare. Dorothy Lucille Tipton era nata ad Oklahoma City, figlia di una casalinga e di un pilota che avevano divorziato quando lei aveva quattro anni. Era stata cresciuta da una zia di Kansas City: lì aveva fatto gli studi fino alle superiori e aveva cominciato ad appassionarsi al jazz, dato che negli anni ’20 e ’30 la città aveva una delle scene jazzistiche più ricche d’America. Pare che avesse sempre avuto coscienza della propria omosessualità, ma che avesse cominciato a travestirsi da uomo solo nei primi anni Trenta, per poter suonare nelle orchestre delle high-school, dalle quali spesso le ragazze erano escluse. Aveva continuato perché aveva scoperto che come uomo era molto più facile trovare lavoro nei bar di Oklahoma City, dove era tornata a vivere dopo il diploma. In breve il personaggio prese il sopravvento e già intorno al 1940 andava sempre in giro vestita da uomo, con il seno strettamente fasciato e i pantaloni imbottiti sull’inguine. Prese il nome Billy dal nomignolo del padre. Per tutti gli anni Quaranta, Billy si guadagnò da vivere suonando con gruppi del Midwest e della West Coast, poi si trasferì a Washington dove fondò un trio (i suoi due colleghi, il bassista Kenney Richards e il batterista Dick O’Neil, dichiararono più tardi di non aver mai avuto alcun sospetto circa il vero genere sessuale di Billy). Per chi fosse curioso di ascoltarlo, su YouTube c’è una sua versione di Sweet Georgia Brown; ma, in tutta onestà, non è un granché. Nel 1957 Tipton registrò un paio di dischi per una piccola etichetta, la Tops Records, e pare che non fossero nemmeno andati tanto male. Billy però rifiutò vari contratti e preferì tornare a vivere a Spokane, vicino a Washington, dove passò tutti gli anni Sessanta a suonare in un piccolo locale, esibendosi anche in numeri di varietà (sembra che in uno facesse l’imitazione di una ragazza). Negli anni Settanta l’artrite lo costrinse a ritirarsi. La cosa impressionante è che Billy riuscì a tenere il segreto anche con le numerose donne con le quali convisse. Le uniche a sapere la verità erano due cugine, le sole parenti con cui aveva mantenuto i contatti. A Betty Cox, con cui visse per sette anni, raccontava di aver subito una mutilazione ai genitali durante un’incidente d’auto, che lo obbligava anche a indossare una stretta fasciatura sul petto. Un’altra sua amante, Maryann Catanach, raccontò che Billy si cambiava d’abito sempre in privato, faceva sesso solo al buio e voleva essere toccato il meno possibile. Negli anni Sessanta iniziò una lunga relazione con una ballerina e spogliarellista di nome Kitty Kelly (in arte “la Venere irlandese”), con la quale adottò addirittura tre bambini, che più tardi lo descrissero come un padre affettuoso che amava accompagnarli ai campeggi dei boy-scout. Non è chiaro se Kitty fosse o no a conoscenza della vera identità di Billy. Dopo essersi separato da Kitty, Billy trascorse i suoi ultimi anni vivendo in una roulotte, dove teneva i suoi pochi averi: gli strumenti musicali, qualche gioiello. Nessun documento personale, nessuna traccia del passato. Soffriva di ulcera, ma aveva sempre rifiutato di farsi curare per evitare di essere visitato. Quando suo figlio William chiamò un’ambulanza era troppo tardi: gli infermieri lo trovarono già privo di conoscenza; fu il coroner a scoprire il suo segreto. La famiglia tentò di mettere a tacere la storia, ma invano: il giorno dopo i funerali, la notizia aveva già fatto il giro dell’America. A Billy Tipton sono state dedicate varie canzoni, un’opera lirica, una biografia, un paio di testi teatrali (titoli e riferimenti si trovano su Wikipedia). Un romanzo ispirato alla sua vita, intitolato “Trumpet”, è stato pubblicato nel 1998 dalla scrittrice scozzese Jackie Kay, che trasformò il protagonista in una trombettista di colore di nome Joss Moody. Il testo è stato tradotto in italiano nel 1999 dall’editore La Tartaruga. La sassofonista Jessica Lurie ha fondato un gruppo di sole donne chiamato “Billy Tipton Memorial Sax Quartet”, o più in breve “The Tiptons” (ma la loro musica, un mix postmoderno di dixieland, avanguardia, klezmer e hip-hop, non ha nulla a che vedere con quella di Billy Tipton, che per tutta la sua carriera suonò solo standard). La vita di Billy Tipton è, a grandi linee, quella di tanti sidemen di piccolo cabotaggio, modesti artigiani che non hanno mai fatto la storia del jazz e si meritano al massimo un paio di righe nelle enciclopedie specializzate. Nessuno si ricorderebbe di lui se non fosse per quel piccolo segreto che, per tutta la vita, gli riuscì di tenere nascosto.
(Sergio Pasquandrea, I racconti dell'età del jazz/3, dal sito La poesia e lo spirito)